Da ormai qualche anno, l’Italia non è più un paese mono-culturale (e mono-religioso). La constatazione non è da poco: si è di fronte a una cesura epocale nella storia del nostro paese.
Pochi dati sono sufficienti a corroborare questa affermazione. Secondo le stime ISTAT, gli stranieri regolarmente residenti in Italia nel 2013 erano 4.387.721, ossia il 7,4% della popolazione totale (a cui vanno aggiunti circa 500.000 stranieri irregolari). Una parte significativa di questi migranti è portatrice non solo di culture e tradizioni diverse da quelle tipiche del nostro paese, ma anche di religioni diverse da quella cattolica maggioritaria. Di particolare rilevanza è la diffusione della religione islamica: secondo le ricerche di Caritas e Migrantes, oggi, in Italia, risiederebbero circa 1.650.000 musulmani, di modo che l’islam è non solo la religione più diffusa tra gli immigrati, ma è anche la seconda religione più diffusa nel nostro paese (lo stesso vale per la maggior parte degli altri paesi europei).
È utile sottolineare che la maggior parte dei migranti musulmani in Italia non si trova nel nostro paese in modo transitorio – ad esempio per un periodo temporaneo di lavoro – , ma vi si è trasferita con l’idea di restarci per tutta la vita. La presenza islamica in Italia non è dunque un fatto reversibile; al contrario, deve essere considerata come elemento duraturo del paesaggio socio-culturale italiano, la cui rilevanza è destinata a crescere nei prossimi decenni, all’interno di un processo di crescita della presenza straniera in Italia. Nel 2030, in Italia il 14,6% della popolazione residente potrebbe essere costituito da stranieri (9,5 milioni su 63,5 milioni di residenti); tra costoro, i musulmani potrebbero essere circa 3 milioni. E tale dato potrebbe crescere uteriormente nei decenni successivi, grazie sia al contributo dei flussi migratori, sia alla crescita delle seconde generazioni, ossia dei figli di genitori stranieri (si consideri ad esempio che il 20,1% dei bambini dati nel 2012 aveva almeno un genitore straniero).
La presenza musulmana in Italia è dunque un fatto irreversibile, che già oggi incide profondamente sullo spazio delle nostre città (e sempre più inciderà nel prossimo futuro). Ad esempio, determina la comparsa di luoghi caratterizzati da una funzione religiosa più o meno esplicita. Il caso più noto – ma certo non l’unico – è quello dei luoghi di culto, oggetto di un intenso dibattito pubblico e politico riguardante l’opportunità della loro costruzione. In questi anni, la politica adottata dalla maggior parte delle municipalità è stata quella di ostacolarne o impedirne la costruzione – e ciò nonostante in Italia i luoghi di culto di qualsiasi religione sono considerati beni funzionali alla realizzazione del diritto costituzionale a professare la propria fede religiosa; in base alla legge, la loro costruzione dovrebbe essere garantita e promossa dalle autorità pubbliche per rispondere ai bisogni della popolazione insediata. La conseguenza di queste politiche restrittive è che oggi, in Italia, esiste un numero limitatissimo di moschee formali (la grande moschea di Roma, la piccola moschea di Segrate, e le moschee di recentissima inaugurazione a Colle Val d’Elsa, Ravenna e Piacenza; per avere un termine di paragone, si consideri che in Francia le moschee formali sono circa 200). Ad esempio, a Milano, dove risiedono circa 80.000 musulmani, non c’è alcuna moschea formale.
Questa politica appare straordinariamente miope a fronte del fatto che, come già sottolineato, la presenza musulmana in Italia è irreversibile, e destinata ad acquisire sempre maggior rilevanza sociale e politica (si consideri che, nei prossimi anni, crescerà la presenza di cittadini italiani di religione musulmana, non solo convertiti, ma anche e soprattutto giovani di seconda generazione e migranti che avranno acquisito la cittadinanza italiana). Tale miopia è dimostrata anche dal fatto che, nonostante tali politiche restrittive, a fronte di pochissime moschee formali, esistono già oggi diverse centinaia di moschee informali, probabilmente tra 800 e 1.000. Nella sola Milano le moschee informali sono circa 15 (vedi figura 1).
Figura 1 – localizzazione di alcune delle sale di preghiera informali (musallayat) di Milano
In tutti questi anni la questione della presenza islamica è stata per lo più ignorata dal dibattito politico (e anche civile) nel nostro paese – come se si trattasse di un fenomeno passeggero, destinato in breve tempo a scomparire. Per lo più è declinata in relazione ai temi della sicurezza (che, come appare evidente, per quanto significativi, riguardano un’irrisoria minoranza dei musulmani residenti nel nostro paese). E’ mancata completamente, invece, una riflessione seria e approfondita su come avviare un processo di integrazione dei migranti nel nostro paese – e, nello specifico, di quei migranti portatori di una specificità culturale e religiosa particolare come i migranti musulmani.
Nell’attesa che tale riflessione si avvii (la crescita della presenza straniera – e musulmana – la renderà inevitabile), è utile cominciare ad analizzare la dimensione spaziale del fenomeno. Nelle città, infatti, la presenza musulmana si esprime nelle sue forme più visibili – e talvolta anche problematiche e conflittuali; ed è proprio dalla risposta al bisogno impellente di certi spazi a caratterizzazione religiosa nelle nostre aree urbane (ad esempio luoghi di culto, ma anche luoghi di sepoltura) che il processo di integrazione può essere avviato, non solo per rispondere a un principio di tolleranza (che, tra l’altro, trova riflesso in un dettame costituzionale), ma anche, più prosaicamente, per evitare che la totale mancanza di strategie di integrazione contribuisca a generare forme di conflittualità violente e dagli esiti poco prevedibili.
[pubblicato su QCodeMag, 16 giugno 2014]