Nell’ultimo periodo, alcune forze politiche hanno lanciato l’idea di sottoporre a referendum ogni proposta di costruzione di una nuova moschea sul territorio italiano (si veda, ad esempio, la proposta di legge in Regione Lombardia recentemente presentata dal capogruppo della Lega Nord).
In un precedente post ho spiegato come, in Italia, i luoghi di culto islamici ufficiali siano un numero estremamente esiguo (meno di dieci), del tutto insufficienti alle necessità dei fedeli musulmani nel nostro paese (circa 1,6 milioni secondo alcune stime). Ciò, tra l’altro, ci caratterizza come un’anomalia rispetto a molti paesi europei, dove le moschee (così come gli edifici religiosi di altre minoranze) sono un elemento comune nella maggior parte delle città (ad esempio, in Francia esistono più di 200 moschee formali). Tuttavia, anche tralasciando ogni ragionamento circa l’appropriatezza del numero di luoghi di culto islamici rispetto al numero di fedeli presenti nel nostro paese, è utile sottolineare come la proposta di un referendum sulla costruzione delle moschee appaia in contrasto sia con il dettato costituzionale, sia con la legislazione ordinaria.
La libertà di professare la propria fede religiosa, qualsiasi essa sia, è infatti garantita da diversi articoli della nostra Carta Costituzionale (si vedano, ad esempio, gli articoli 3, 7, 8, 19 e 20). Ciò vale sia per la declinazione individuale di tale diritto, sia per la sua declinazione collettiva – quest’ultima si sostanzia, ad esempio, nel diritto di costruire un luogo di culto appropriato, in cui la comunità di fedeli si possa ritrovare a pregare. Tuttavia, la mancanza di una specifica legge quadro nazionale che regoli i diversi aspetti concreti di tale diritto ha determinato, nel nostro paese, una situazione per la quale il dettato costituzionale resta lettera morta in un numero elevato di situazioni. Già questo fatto, di per sé, potrebbe essere letto come una trasgressione del dettato costituzionale. In contrasto chiaro ed esplicito con la Costituzione sarebbe invece sicuramente un atto deliberatamente volto a limitare un aspetto fondamentale della libertà di professare la propria fede religiosa, come sarebbe un referendum che vincolasse alla decisione della maggioranza la possibilità di realizzare un luogo di culto islamico.
Si noti che una proposta simile sarebbe in contrasto anche con la legislazione ordinaria. Dal punto di vista della legislazione urbanistica, i luoghi di culto (di qualsiasi confessione, senza distinzione tra culti che hanno firmato un’intesa con lo Stato, come ad esempio l’ebraismo, e culti che non l’hanno firmata, come l’islam) sono qualificati come opere di urbanizzazione secondaria e dunque dovrebbero essere realizzati dalle amministrazioni comunali in risposta ai bisogni della popolazione insediata – così come lo sono scuole, ospedali e parchi. In sostanza, l’edificazione di un luogo di culto è assimilata alla costruzione di un qualsiasi altro servizio pubblico – di modo che non richiede il rilascio di permessi speciali, ma è soggetta solo ai normali vincoli edilizi e urbanistici vigenti.
Ciò ha due conseguenze, che coloro i quali propongono un referendum sulla costruzione delle moschee probabilmente ignorano.
Il primo è che la proposta di costruire una moschea – così come un tempio sikh o una sinagoga – può essere valutata soltanto in base a parametri urbanistici e architettonici – ed essere eventualmente bocciata solo per la violazione di questi. Considerazioni di carattere politico non sono invece ammesse.
Il secondo è che non solo le amministrazioni pubbliche non possono bocciare la richiesta di realizzare una moschea sulla base di considerazioni di carattere politico, ma che sarebbero addirittura obbligate a supportarne la realizzazione, a esempio con finanziamenti pubblici. Sia concesso sottolineare come ciò pare non essere accettato nemmeno da quelle amministrazioni comunali che si dichiarano più “progressiste” e tolleranti. E’ ad esempio il caso di Milano: a fronte di circa 80.000 fedeli musulmani presenti in città e in mancanza di una moschea formale, non solo l’amministrazione comunale non ha promosso la costruzione di alcuna moschea, ma, di fronte alla possibilità che una moschea temporanea fosse costruita in vista di Expo (per accogliere i numerosi visitatori di fede musulmana), il sindaco Pisapia si è affrettato a precisare che ciò dovrebbe avvenire in ogni caso senza alcun esborso per le casse comunali.
Che tutto ciò sia in violazione sia del dettato costituzionale, sia delle indicazioni di leggi nazionali è dimostrato dal fatto che in tutti i casi in cui le amministrazioni comunali rendono praticamente impossibile la realizzazione di un luogo di culto “sgradito”, ciò avviene sempre attraverso “sotterfugi” (ad esempio, lungaggini burocratiche o considerazioni di carattere urbanistico prive di ogni ragionevole fondamento tecnico e empirico).
Sia concesso notare che, se ci si allontanasse da mere valutazioni di carattere legislativo e costituzionale e ci si addentrasse nel campo di considerazioni di carattere più sostantivo (sociologico, demografico, economico e politico), tutti questi tentativi di impedire la realizzazione di moschee (e di altri luoghi di culto di minoranze religiose) apparirebbero privi di qualsiasi base che non fosse di tipo ideologico, visto che la presenza di immigrati in Italia – e in particolare la presenza di una consistente quota di immigrati musulmani – è irreversibile e destinata probabilmente a crescere. Motivo per il quale pare difficile immaginare che alcuni milioni di fedeli musulmani (alcuni dei quali cittadini italiani) possano rimanere ancora a lungo senza luoghi formali in cui praticare la propria fede religiosa – a meno di voler correre il rischio di esacerbare tensioni sociali di carattere etnico-religioso dalle conseguenze sicuramente non positive. I tragici eventi recenti di Parigi sono una ulteriore prova di come quella dell’integrazione e del pluralismo sia una strada lunga, complicata e irta di ostacoli, ma ineluttabile.
[Pubblicato il 13 gennaio 2015]